Essere squadra

Una delle imprese più difficili, è fare squadra.

Nello sport è basilare per vincere.

Nel mio lavoro, di più.

Noi, sul podio, dobbiamo far salire i nostri pazienti. Persone sconosciute, che loro malgrado, si son trovate catapultate in una realtà difficile da affrontare.

Dobbiamo renderli vincenti contro la “malattia” . Anche portandoli in braccio.

È questo che dobbiamo fare, ogni giorno, quando ci presentiamo ai blocchi di partenza.

Non è tanto lo stacco, nel nostro caso, ciò che conta, ma il modo in cui affronteremo la gara…

Io lavoro in Sala Operatoria da più di venticinque anni.

Ho assistito all’evolversi degli interventi operatori. Molti dei quali in videolaparoscopia.

Ho dovuto mettermi in gioco.

Imparare nuove metodiche e continuare a farlo.

Frequentare periodicamente, il pomeriggio, corsi di aggiornamento, dopo una mattinata di lavoro.

Sostenere il caratteraccio di certi primari. Di quelli che ti dicono, alzando la voce “Lei sa chi sono io?”.

Di quelli che pestano i piedi, come bambini capricciosi.

Di altri, che creano conflitti, rivalità e malcontento. Lodando l’uno e criticando l’altro.

Ma anche di chi, terminato l’intervento di cinque/ sei ore, per rimuovere una massa tumorale, ringrazia tutta l’equipe.

Oppure di chi entra in Sala e con una battuta scherzosa, fa sorridere e rende l’atmosfera meno pesante.

Chi si congratula per aver avuto spirito d’osservazione e prevenuto un evento particolare.

Chi, alla cena di pensionamento, ci ha regalato una targa, ora appesa nella sala riunioni, dove è scritto che ringrazia noi infermieri, per aver stemperato i momenti di tensione.

Noi siamo molto diversi.

C’è chi parla poco. Chi, invece, ha sempre il tono di voce alto.

Chi è più estroverso e passa a salutare tutti. Chi, invece, è metereopatico.

Chi è più chiuso. Chi, invece, ha sempre una parola allegra.

Chi scrive con calligrafia terribile. Chi, invece, è preciso.

Tutti, però, nessuno escluso, mettiamo la persona che dev’essere operata, a proprio agio.

Lo dico con orgoglio.

Sì.

In questo, mi sento di appartenere ad una grande squadra.

Una di serie A. Con componenti di primissimo livello.

Sia di qualità tecnica che umana.

Un team, che indossa le divise verdi, gli zoccoli colorati e le cuffiette variopinte, per smorzare un po’ di asetticità delle pareti .

Che si aiuta, se un bimbo piange e non si trova l’accesso venoso. Allora, mentre uno cerca di mettere la flebo, l’altro parla, , chiede cosa gli interessa, che scuola frequenta, cerca di stabilire una comunicazione affettiva. Prende un peluche, per far distrarre il piccolo.

Che se passa in corridoio e vede la signora piangere perché ha abortito, le chiede se può far qualcosa. Le passa una garza sul viso. Ed anche se il tempo è tiranno, si ferma un attimo.

Che parla in dialetto, per mettere a proprio agio un paziente anziano. Spaventato. Triste. Spesso solo.

Che spiega e rispiega più volte le manovre che si effettueranno in Sala.

Che afferma con voce sicura e rassicurante che andrà tutto bene. Che è in buone mani.

Che sorride, anche se ha perso da poco, un genitore.

E poi, una mattina, succede che una donna incinta, al termine della gravidanza, entra in Sala. Sa che la bambina che nascerà, con taglio cesareo, non si muoverà. Non respirerà. Perché il cordone ombelicale, poche ore prima, si è attorcigliato intorno al collo, e l’ha stretto in una morsa.

Senza lasciarle scampo…

Ed insieme, speriamo fino alla fine, nonostante l’ecografia e l’assenza del battito cardiaco, abbiano confermato il decesso, nonostante il liquido amniotico sia una fanghiglia verde.

Con il fiato corto, le mani che sudano, il cuore che rumoreggia con fastidio nelle orecchie, forte, sempre più forte.

Mettiamo in atto tutte le manovre rianimatorie per vedere se il torace si solleva, nonostante la neonata abbia la pelle ormai grigia.

Non vogliamo cedere.

Nessun vuol perdere.

Aspiriamo.

“Dai, più forte! Aumentate la pressione!”

” Forza. Forza. Ancora”.

Ma la neonata è lì. Appoggiata sul telo. Non si muove.

Nessuno vuol perdere la partita.

Non si accettano sconfitte.

Non si accettano ritiri.

Ma oggi, abbiamo perso.

Guardo la cucciola.

Sento una lacrima scendere nella mia anima.

Viene avvolta nel telino verde. Caldo.

Vien riposta nella culla.

Vien sistemata.

Con dignità.

Con rispetto.

Nessuno parla.

Nemmeno il silenzio è di conforto.

È un silenzio pesante come un macigno. Di quelli enormi. Che si catapulta sui globuli, facendo schizzare fuori l’ossigeno, in esso contenuto.

Fino a sfiancare le pareti.

Ed allora provo a prendere fiato.

Più espando la cassa toracica e più mi manca l’aria.

Un’aria che si veste di lutto.

Ed a turno, i colleghi, vanno a controllare la culla.

Sommessamente.

Io strumento l’intervento e li guardo.

Mi fan cenno di no, con la testa.

Tutti, catapultati con forza, in uno stato di tristezza.

Poi i giorni passano.

Le stagioni.

I mesi.

Ma io, non dimentico.

Son passati tanti anni. Ma il ricordo di quel giorno, vive da qualche parte , nel mio cuore.

Il nostro lavoro è anche questo.

Fare tutti insieme, scudo, per affrontare ogni giorno.

Ma in pochi sanno, che lo scudo è pieno di graffi.

Molto profondi.

99 pensieri riguardo “Essere squadra

  1. ecco, mi fa piacere il concetto di base, l’idea di gruppo contrapposto alla convinzione imperante che la buona sanità si basi sulle singole eccellenze. E invece no, nessuno si salva da solo, anzi nel nostro caso, nessuno salva gli altri, i malati, da solo, è solo l’armonia di squadra, la somma delle singole competenze, che possono dare risultati. E aggiungo che non è tanto la tecnica, il sapere (necessario) quanto le emozioni, il cuore che ci metti, la comprensione della sofferenza altrui, la partecipazione sentimentale che ci si mette tutti insieme a fare la differenza tra l’aver portato a termine un intervento e l’aver salvato una persona, tra l’aver sconfitto una malattia e l’aver “curato” un malato.
    ml

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    1. Il nostro lavoro, con scarsa componente emotiva, sarebbe veramente deleterio.
      Non solo per i pazienti, ma anche per noi.
      Ne conosco alcuni.
      Mi fanno una tale tristezza…
      Grazie del tuo prezioso commento

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  2. …Forse la forza dipende dalla profondità dei graffi lasciati su quello scudo che sembrano ogni volta appesantirlo sempre più. Se lo scudo diventa vieppiù pesante da portare, le spalle – non di meno – si rafforzano con ferite e piaghe. Quanto dolore! Ma quante vite salvate… Ho bisogno di pensare ai graffi per vedere le cicatrici rimaginarsi… Grazie di cuore. Non sai quanto. O forse sì….

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        1. Sì, è vero.
          Ma viaggiano parallele alle tue. Le mie si vedono nell’immediato.
          Le tue, quando sei di supporto per la scuola( e non solo), lasceranno il segno, col tempo.
          Non le puoi toccare con mano, ma credimi, possono restituire dignità ed autostima.
          Ne son convinta.
          Certo, io, non devo e non posso sbagliare.La gravità sarebbe grave.
          Ma moralmente, tu, svolgi una mansione altrettanto delicata.
          Io ti stimo tantissimo.

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  3. Esperienze che tracciano un cammino e che ci fanno riflettere sul fatto che nonostante i risultati c’è sempre un senso dietro ad ogni cosa e per questo dobbiamo continuare con coraggio senza mai dimenticare…💙

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  4. Non puoi immaginare le emozioni che regali.
    Ci riporti in quei momenti di bisogno, che ognuno di noi a vissuto negli ospedali è di quando sia vitale la vostra umanità nello svolgere con successo la vostra missione.
    Non ti ringrazierò mai abbastanza grande meravigliosa Dina.
    Sai…nel mio piccolo sono stata donatrice di sangue per dieci anni,l’ultima volta ho perso conoscenza la pressione era troppo bassa…in tempo il dottore a farmi l’iniezione
    Aveva sbagliato nella misurazione della mia pressione troppo bassa prima del prelievo.
    Avrei voluto continuare a donare ..peccato.
    Ti abbraccio tantissimo cara dolce amica❤

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    1. Che peccato!
      Ammiro tanto i donatori.
      Noi abbiamo sempre bisogno di sacche di sangue.
      Son la colonna vitale, di tante emergenze.
      Molti morirebbero, se non ci fosse disponibilità di tanti donatori.
      Che nel silenzio, compiono un grande gesto altruistico.
      Non sapranno mai, quante vite hanno salvato.
      Ti abbraccio anche io.
      Grazieeeeeeeee😘

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    1. Sì, anche se ti confesso che spesso, ci son anche “ suocere”, “generi” e “nuore”.
      I conflitti sono inevitabili.
      Ma se non perdiamo di mira ,come obiettivo, il benessere del paziente, allora tutto il resto, si può smorzare.
      Grazie❤️

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  5. Una bella squadra, c’è un po’ di tutto……varietà di caratteri, di atteggiamenti MA unità nel mettere il paziente al primo posto e tanto CUORE quando le cose non vanno nel modo giusto……! Che Dio v i benedica tutti. Ti abbraccio Dina.

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  6. Grazie per questa belisima testimonianza.
    E’ vero la vita che avete tra le mani è preziosa, e voi siete preziosi, tutti. E sei fortunata a lavorare con un teem compatto, credo sia uno dei motivi che spinge a non mollare mai, se uno cede l’altro sostiene.
    Nel mio lungo iter ospedaliero ho incontrato di tutto, anche in negativo purtroppo, ma non sto qui a dire perchè, preferisco dire di chi è stato l’aiuto incondizionato, la professionalità perfetta senza dimenticare l’umanità, la tenerezza, la dolcezza. Non potrò mai dimenticare l’infermiere della sala operatoria che ha infilato la testa sotto la copertura verde (anestesia parziale) per tenermi compagnia e coccolarmi mentre mi asportavano i linfonodi da esaminare…ancora oggi lo abbraccio, anche se solo con la fantasia.
    Ancora grazie Dina per esserci ed esserci come sei, i pazienti che incontri sono fortunati. Sei un dono di Dio immenso.

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  7. Ho voluto credere fino alla fine che dalla culla sarebbe arrivato un vagito, seppur silenzioso o che quel cuore riprendesse a battere. È terribile accettare sconfitte di questo genere. E ricominciare, sempre. Una carezza delicata ai solchi sullo scudo.
    E grazie ❤

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  8. È che… si danno sempre per scontate troppe cose, spesso non per cattiveria d’animo, ma per ignoranza. Non sono infermiera, ne dottore (a parte a casa) ma ho sempre avuto un enorme rispetto per voi ed il lavoro che svolgete, ed ho pensato che siete una categoria sempre troppo spesso tartassata da tutto e da tutti, e che per continuare a fare quel che fate dovete per forza di cose avere un ❤ immenso!!!

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    1. Grazie Laura!
      Vero.
      Diamo per scontate tantissime cose.
      Proiettati a pensare in un certo modo, poiché le insidie di fatti di cronaca nera, ci portano a pensare in un certo modo…
      Ed allora, non ci soffermiamo a riflettere. La strada è troppo impegnativa.
      Grazie ancora♥️

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  9. la squadra, il gruppo, le sue diversità, le dinamiche i caratteri, i livelli di umanità e poi all’opera e il cosa vi riserverà, che spesso si tratta di percorrere in precario equilibrio quel filo che da una parte dona sollievo e dall’altra il baratro, con in mezzo tutte le sfumature febbrili delle attese, del consolare, dell’empatia per sofferenze spesso appese ad un filo…poi la speranza e l’attesa per una vita, qualche volta disperatamente disattesa, negata, con quell’utopia che vorrebbe inseguire resurrezioni, e quella non accettazione dell’inevitabile, che deve poi per poter andare avanti, far posto alla rassegnazione, con gesti che sanno tanto di tutta la grande pittura e scultura, delle sue “deposizioni”…terribile e insieme catartico, come mi riconduci a quella culla termica vuota, ad un “deposito donne” con la gelida lastra di marmo, con quell’esserino pallido avvolto nella sua sindone

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    1. Non ci avevo pensato…
      Ma tu, che scruti e ti addentri oltre le parole, hai colto un immenso significato.
      Deposizione.
      Resurrezione.
      La vita eterna.
      Come sempre, ti sono immensamente grata, del tuo apporto e supporto.
      Tu, distribuisci, come un danzatore, emozioni delicate, in punta di piedi.
      Grazie.
      Ti abbraccio.

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    1. A te, Patrizia!
      Le nostre frustrazioni, le nostre emozioni, i nostri giorni pieni di ansie per la scuola, si intrecciano e si sostengono.
      Tu sei compagna di questo viaggio, chiamato vita.
      😘

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  10. Dina ma quante volte te lo devo ripetere che sei speciale?! Lo penso davvero, perché sei buona e hai una visione della vita che bisognerebbe prendere come esempio. Quando ti leggo vengono fuori mille emozioni tutte assieme.
    Un abbraccio❤✨

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  11. Mi hai fatto piangere, noi non sappiamo minimamente quanto devano affrontare i medici w infermiere nella sala operatorio, o in generale in ospedale.. meritano una grande rispetto..
    buona giornata cara Dina 🌹💕 bussi 💋

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    1. Sì, molti ignorano ciò che tanti infermieri, fanno.
      La mia è una piccola testimonianza.
      Una goccia nell’oceano.
      Hai usato la parola rispetto.
      Ti ringrazio tanto.
      Spesso è in via di estinzione…
      Ti abbraccio , cara Rebecca😘

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      1. per me il rispetto e la base di tutto, posso essere magari un po’ ignorante, m mai mancare di rispetto..

        mio padre mi disse una volta a casa nostra ti insegniamo 4 cose fondamentale, rispetto, ordine, puntualità e umiltà 😉 e io sono lro grato per questi buoni principi

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          1. grazie cara Dina, ti abbraccio … e scrivi spesso dal tuo lavoro lo apprezzo molto, se trovo il tempo commento volentieri bussi 🌻

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          2. anche io. rippetto spesso le stesse cose… allora abbiamo qualcosa in comune ahahahahahah… essere ripetitiva e un bene, cosi almeno arriva qualcosa nella testa del lettore 😀 … vado preparare il pranzo bussi 😉

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  12. le tue parole mi lasciano ogni volta solchi profondi nel cuore… e continuo a pensare che sei una gran persona dal cuore “graffiato” ma ancora tanto pieno d’amore x quello che fai… 💙💙💙

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    1. Perché sei una persona sensibile.
      Ed io, che vivo con tutta me stessa, il mio lavoro, non posso che condividere con affetto, questi momenti carichi di emozioni.
      Ti abbraccio.
      Forte❤️

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Grazie per il tuo prezioso tempo!